Arlington, Virginia

Mentre Aggie Johnston si preparava freneticamente a lasciare la capitale, Mercer, a meno di venti chilometri, era impegnato a fare la stessa cosa, ma senza l’urgenza della paura. Quando si trattava di fare le valigie, si riteneva un esperto. Era molto raro che portasse con sé qualcosa di inutile o che si dimenticasse qualcosa di essenziale. E non era solo molto parco, era anche veloce. Da quando aveva buttato sul letto la borsa in cuoio e la valigetta a quando le aveva chiuse entrambe erano trascorsi undici minuti esatti.

Dopo che aveva lasciato il Willard Hotel quella mattina, erano i primi minuti che trascorreva lontano dal telefono. Visto che doveva rinunciare alla custodia e alla protezione dell’FBI, voleva ridurre al minimo i suoi rischi. Per raccogliere tutte le informazioni che potevano servirgli in Alaska Mercer si era fatto restituire una serie di favori e ne aveva promessi almeno altrettanti. Anche se aveva Kerikov alle costole e sapeva che il russo avrebbe raddoppiato il suo impegno per riuscire a farlo fuori, Mercer non aveva la minima intenzione di mollare. Era inferocito perché la sua casa era stata invasa e perché i suoi amici si erano trovati in pericolo. Le minacce alla sua vita erano qualcosa a cui riusciva a far fronte, ma non quando coinvolgevano le persone che amava, soprattutto Harry e, ora, anche Aggie. Era riuscito a farsi dare il suo numero privato da un amico che lavorava per la compagnia telefonica, ma con suo disappunto il numero risultava sempre occupato.

Quando stava per portare le borse al piano di sotto, il cordless che stava sul comodino squillò. “Pronto.”

“Dottor Mercer? Sono l’ispettore Mac Laughlin di Homer. Ho un messaggio che dice che mi ha cercato.”

“Grazie per avermi richiamato, ispettore, Ho un sospetto che credo sarà felice di verificare per me. È legato alle morti di Jerry e John Small.”

“Temo che dovrà attendere, dottor Mercer, c’è stato un omicidio qui ieri sera, e in città sono tutti piuttosto agitati.”

“Un omicidio? Cos’è successo?”

“È stata trovata una barca da pesca arenata sulla spiaggia un paio di chilometri a sud della città, e il proprietario è stato trovato nella cabina di prua con la gola squarciata. Piuttosto raccapricciante, non so se rendo l’idea.”

“Era una barca del posto?” Mercer sentì che gli si rizzavano i peli sulla nuca.

“Sì, era ormeggiata al porto. Il proprietario era nato e cresciuto qui a Homer.”

“Che tipo di barca era?”

“Mi scusi, dottor Mercer, ma in questo momento non ho proprio tempo.” Dalla voce si capiva che era sfinito, come se negli ultimi giorni ne avesse viste davvero troppe.

Mercer si mostrò comprensivo, ma non mollò. “Non glielo chiederei se non fosse importante.”

“Non era una barca commerciale, era una barca da diporto piuttosto grande, a dire il vero era la più grande che c’era in città. Poteva portare una ventina di persone.”

“Ispettore, è possibile che la vittima fosse a conoscenza delle coordinate del punto in cui la guardia costiera ha affondato la Jenny IV?”

“Certo. La guardia costiera le comunica ai pescatori così possono rintracciarle quando, dopo qualche anno, i relitti si popolano di pesci.”

“Deve mandare qualcuno a dragare il fondo e a controllare che il relitto sia ancora là.” Mercer aveva già intuito che non c’era più, ma doveva verificare.

Mac Laughlin si irrigidì sentendo il tono perentorio di Mercer. “Aspetti un momento, Mercer, apprezzo la sua collaborazione sul caso degli Small, ma ho un’indagine importante da condurre e non ho tempo per questa faccenda.”

Mercer cambiò tono. “Mi dispiace, ma se i miei sospetti sono fondati, scoprirà che il proprietario di quella barca è stato ucciso ieri sera dopo che qualcuno lo ha costretto a usare la sua barca per trascinare via la Jenny IV dal punto in cui la guardia costiera l’ha affondata. A bordo di quel relitto c’era qualcosa che nessuno aveva notato, una prova che non doveva essere mai trovata. Questo ultimo omicidio è stato commesso dagli stessi uomini che hanno ucciso Jerry e John Small, e il loro cugino Howard Small.”

“E chi sarebbero questi uomini?” chiese Macughlin sospettoso, ma incuriosito.

“Non lo so ancora” mentì Mercer, “ma può star certo che lo scoprirò.”

Dopo una lunga pausa Mac Laughlin rispose: “Potrei chiedere a mio cognato di uscire con la sua barca e agganciare lo scafo con un gancio a uncino legato in fondo a una cima. Sono sicuro che lo troverà subito, al primo passaggio.”

“Non ci scommetta, ispettore, la Jenny IV non è più là. E per quando lui sarà tornato io non sarò più reperibile a casa. Sto partendo per l’Alaska, la richiamo io più tardi.”

“D’accordo. Se non mi trova, le do il numero di casa, mi chiami lì.”

“Non sa quanto le sono grato” disse Mercer. Annotò il numero di Mac Laughlin e chiuse la telefonata.

Fece un respiro profondo, sollevato per la disponibilità che il capo della polizia gli aveva dato. Non gli piaceva affatto l’idea di mentirgli, ma era convinto di non avere scelta. Dubitava che l’indagine di Mac Laughlin lo avrebbe portato oltre i confini della città di Homer, perciò meno sapeva e maggiori erano le probabilità di non stuzzicare l’interesse di Kerikov per lui. Nessun avvertimento sarebbe stato sufficiente a preparare Mac Laughlin ad affrontare un criminale internazionale come Kerikov, e la coscienza di Mercer non era in grado di reggere un’altra morte nel caso in cui l’ispettore si fosse avvicinato troppo. Ma sapere che avrebbe pensato lui a dare un’occhiata attorno alla Jenny IV gli permetteva di concentrarsi su altri percorsi.

Sollevò le borse dal letto e si accorse che la luce abbagliante del sole attraverso il nuovo lucernario stava asciugando la prima mano di vernice. Ancora qualche giorno e le tracce dell’assalto alla sua casa sarebbero sparite. Come aveva promesso, Dick Henna aveva messo sotto una squadra di operai per sistemare la sua casa. Nel bar era già stata cambiata la moquette nel punto macchiato dal sangue di Burt Manning, e un falegname stava riparando i fori dei proiettili in biblioteca, sul balcone e sulla scala antica.

Mercer sapeva per esperienza che gli effetti psicologici dell’aggressione avrebbero impiegato molto, molto più tempo per guarire.

Il telefono squillò di nuovo quando era già sceso a metà scala. Lasciò i bagagli in biblioteca e si precipitò a prendere la chiamata dall’apparecchio dello studio.

“L’ha detto Enrico Caruso,” disse una voce trionfante ancora prima che lui rispondesse.

“Ci hai messo un sacco di tempo, però” rispose Mercer con tono di rimprovero.

David Saulman, un amico di vecchia data, e Mercer, da quando si conoscevano erano impegnati in una spietata e permanente sfida di quiz, un gioco che divertiva entrambi immensamente. Per Saulman era un’occasione per mettere a frutto la sua incomparabile bravura nel fare ricerche, e Mercer perché poteva invece mettere alla prova la sua memoria formidabile.

L’ultimo quiz l’aveva lanciato Mercer tre mesi prima, e Saulman ci aveva messo tutto quel tempo per trovare la risposta: “Di chi è la frase ‘Il lampadario cercava di toccare il soffitto e le sedie si rincorrevano per tutta la sala’, riferendosi al grande terremoto che devastò San Francisco nel 1906?” Era una delle domande più strampalate che Mercer gli avesse mai posto, per vendicarsi di non essere riuscito a ricordare il nome del capitano della Mary Celeste, Benjamin Briggs, che era l’ultimo quesito che gli aveva posto Saulman.

Le domande di Mercer avevano invariabilmente a che fare con le scienze della terra o con l’ingegneria, mentre quelle di Saulman erano sempre legate alla storia e alle tradizioni del mondo della navigazione. Entrambi erano esperti nei rispettivi campi e potevano attingere a un pozzo senza fondo di conoscenze.

David Saulman si era imbarcato su un mercantile quando era ancora un ragazzo, durante la seconda guerra mondiale, e aveva lentamente scalato le gerarchie “passando per la cubia”, come si diceva in gergo marinaresco. Ma un’esplosione nel motore all’inizio degli anni sessanta gli era costata un braccio e gli aveva stroncato la carriera. Costretto ad abbandonare il lavoro sul campo, decise di usare la sua esperienza per dedicarsi agli aspetti legali del commercio marittimo e si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza. Da allora era diventato uno dei massimi esperti di diritto della navigazione e le sue consulenze costavano una fortuna. I suoi uffici di Miami contavano un centinaio di associati, e la nuova filiale aperta a Londra all’ombra dei Lloyds stava andando meglio di quanto avesse osato sperare. Poteva contare su contatti che andavano dall’ultimo dei marinai ai magnati più potenti, e ne sapeva di più di chiunque altro al mondo.

“La mia segretaria mi ha passato il tuo messaggio stamattina” disse Saulman, con quel tremendo accento di Brooklyn che neanche dopo vent’anni era riuscito a perdere. “Ho appena ricevuto l’informazione che mi hai chiesto.”

“Mi sorprende che tu abbia fatto così in fretta.”

“Non riesco a ricordarmi come cazzo facevamo a lavorare prima che inventassero i computer” disse Saulman con un tono molto rispettoso verso chi si ricordava davvero di com’era il mondo prima dell’invasione dei microchip. “A chi devo mandare la fattura?”

Mercer scoppiò a ridere. Saulman avrebbe fatto volentieri quella ricerca gratuitamente, ma sapeva che quando Mercer gli chiedeva un favore c’era sempre qualcun altro ugualmente interessato ad avere l’informazione. “Mettila sul conto dell’FBI. La tua fattura non sarà un gran problema, quando Dick Henna scoprirà che gli ho raccontato una balla riguardo ai miei progetti di viaggio. Cos’hai scoperto?”

“Allora” David Saulman fece una pausa e Mercer sentì che stava sistemando dei fogli sulla scrivania. “Nelle ore che ti interessano c’erano centotré barche nel Golfo dell’Alaska. Novantaquattro erano barche da pesca private o commerciali, compresa la Jenny IV. C’erano poi quattro grandi traghetti gestiti dalla Alaska Marine Highway. Tre navi container di proprietà della Lykes Line dirette a nord per trasportare attrezzature per la nuova condotta o in rotta di rientro verso sud. E poi c’erano una nave, la Hope, di proprietà di un gruppo ambientalista che si chiama PEAL, e una petroliera diretta al terminal di Alyeska.”

Sentendo nominare la PEAL Mercer ebbe una scossa. “Cosa sai della Hope?”

“È una vecchia nave inglese da rilevamento, acquistata circa un anno fa e trasformata in una specie di nave da ricerca. Viene usata più per le pubbliche relazioni che per attività scientifiche vere e proprie. È sempre presente ovunque ci sia una qualche controversia di carattere ambientale. È all’ancora nel Prince William Sound da quasi tre settimane.”

“Ha lasciato l’area di recente?” chiese subito Mercer con una scintilla di vittoria che gli brillava negli occhi grigi.

“No, mi dispiace.” La risposta di Saulman smorzò le sue speranze.

La nave della PEAL era la scelta più logica per il furto di grandi quantità di azoto liquido, ma se non si era mossa da Valdez, non poteva essere responsabile. “Ok, e cosa mi dici della petroliera?”

“Fammi dare un’occhiata...” Saulman cercò i dati sulla nave. “Ecco qua. Era la Petromax Arctica, una VLCC da duecentocinquantacinquemila tonnellate che stava compiendo il suo solito viaggio da Valdez a Long Beach…”

“Petromax?” lo interruppe Mercer. “Ho parlato con Max Johnston un paio di giorni fa. Mi ha detto che hanno venduto tutte le loro petroliere.”

“Se mi lasci finire… stavo per dirti che la nave è arrivata a Valdez come Arctica, ma che è partita l’altro ieri con il nome Southern Cross. Il nuovo proprietario è la Southern Coasting and Lightering di New Orleans. È un passo importante per la SC&L.”

“Cosa vuoi dire?”

“È una compagnia di dimensioni medie. Prima che comprassero la flotta della Petromax la loro nave più grande aveva quattordici anni e una stazza di centomila tonnellate. Per comprarsi l’Arctica e le sue sorelle hanno tirato fuori centocinquanta milioni di dollari. Per loro equivale a passare in un secondo da una Yugo a una Bentley.”

“La vendita è stata gestita dal tuo studio?”

“No, lo hanno fatto dalla Louisiana. Ma quando l’ho saputo, mi sono un po’ insospettito e ho fatto qualche ricerca. La faccenda è stata piuttosto strana sin dall’inizio. La Petromax ha vuotato le navi alla velocità della luce. Lo stesso giorno in cui si è sparsa la voce che Max voleva liberarsi delle petroliere della Petroax Oil, la Southern Coasting si presenta e, come se niente fosse, stacca un assegno da centocinquanta milioni di dollari senza negoziare, senza finanziamenti, niente.”

“Si direbbe che aveva fretta di prendere i soldi” disse Mercer.

“I greci o i giapponesi avrebbero comprato quelle petroliere in un baleno per un mucchio di soldi in più. Cristo, la Petromax Pacifica ha solo otto mesi di vita. Solo lei vale almeno settantacinque milioni,” commentò Saulman.

“Nientemeno...”

“Già, nientemeno” concordò Saulman. “E c’è dell’altro. La Southern Coasting ha chiesto che tutti i nomi delle navi venissero cambiati immediatamente dopo la firma dell’accordo, e non solo sulla carta, ma anche sulle navi stesse. Stanno pagando una squadra che voli subito a Valdez per rinominare la Arctica durante la navigazione tra l’Alaska e la California.”

“E le altre?”

“La Petromax Arabia è nel Golfo Arabo. Il suo nuovo nome sarà Southern accent, mentre la Petromax Pacifica sta scaricando a Tokyo, dove prenderà il nome di Southern Hospitality.”

“È strano, ma non mi aiuta granché.” Mercer cercò di nascondere la sua delusione. “Hai trovato nient’altro?”

“Beh, la Arctica è arrivata a Valdez con diciotto ore di ritardo e hanno dovuto far sbarcare il capitano con un elicottero per portarlo ad Anchorage, perché è rimasto coinvolto in un incidente.”

“Cazzo, e perché non me lo hai detto subito?”

“Senti, tu mi hai chiesto l’elenco delle navi che si trovavano nel Golfo dell’Alaska. Non mi hai detto perché.”

“Scusami” rispose Mercer imbarazzato. “Capita spesso che una petroliera arrivi in ritardo?”

“Per niente. Quei mostri costano mille dollari all’ora per navigare, quindi stiamo parlando di diciottomila dollari tra carburante, personale di bordo e assicurazione. Senza contare l’alaggio e le penalità di ritardo da pagare alla società di noleggio. Le petroliere non arrivano mai in ritardo.”

“Hai idea di cosa sia successo al capitano?”

“No. Nel rapporto di incidente inviato ai Lloyds c’è scritto solo che ha perso l’avambraccio. La Petromax pagherà le spese dell’intervento di uno specialista di Seattle.”

Mercer rimase in silenzio per qualche istante. Avrebbe voluto credere che era stata la Arctica a trafugare le bombole di azoto liquido tramite un appuntamento con la Jenny IV, ma l’ipotesi non aveva alcun senso. La Petromax era un colosso delle esplorazioni petrolifere, non si sarebbe mai fatta coinvolgere in un furto, soprattutto di una sostanza così innocua come l’azoto liquido. La sua posizione in Alaska era già abbastanza difficile a causa dell’opposizione all’apertura del Rifugio della Fauna Artica, non avrebbero di certo fatto niente che potesse comprometterla ulteriormente.”

“Temo che stiamo abbaiando sotto l’albero sbagliato” disse alla fine.

“Se mi dici cosa stai cercando, magari riesco ad aiutarti” propose Saulman.

“Mi dispiace, Dave, non posso. Senti, mi hai già aiutato dicendomi dove non devo cercare. È molto di più di quanto abbia ottenuto finora.”

Per risollevare l’umore abbattuto di Mercer che traspariva dalla sua voce, Saulman gli lanciò un quiz. “Prima di salutarci, dimmi chi progettò la corazzata Monitor della U.S. Navy.”

“Troppo facile” rispose Mercer. “John Ericsson.” Chiuse il telefono mentre Saulman lo mandava amichevolmente affanculo.

Dopo qualche minuto Mercer parcheggiò la sua Jaguar accanto alla Pontiac scassata di Tiny, nel parcheggio dietro al bar dell’ex fantino. Buttò le borse sul sedile posteriore della vecchia auto del suo amico e poi chiuse a chiave la sua.

Il bar era vuoto, a parte, cosa che sorprese Mercer, Harry White che stava seduto sul suo solito sgabello, con un bicchiere quasi vuoto nella mano ossuta e una sigaretta che gli penzolava dalle labbra pallide. Accanto a lui c’era una grossa scatola di cartone con le inconfondibili etichette del Jack Daniel’s che spuntavano da sotto il coperchio.

“Cosa diavolo ci fai tu qui?” chiese Mercer entrando dal bar attraverso la cucina quasi in disuso.

“Non ci crederai.” Harry era emozionato come un bambino a Natale. “Ho ordinato quattro casse di JD e quegli idioti hanno continuato a portarmelo. Hanno persino chiamato un taxi per aiutarmi a trasportarle fino a qui. Se restavo lì un altro paio d’ore, non avrei più dovuto pagarmi da bere per un anno intero.”

“Quanto fanno pagare per una cassa?” chiese Mercer tremando per la risposta. Vedendo il conto, era sicuro che Henna lo avrebbe ucciso.

“Non so. Un centinaio di dollari a bottiglia, credo” rispose Harry chiudendo l’argomento e finendo il suo drink mentre Tiny gliene metteva davanti un altro. “Che Dio benedica lo zio Sam e le sue tasche senza fondo.”

Mercer si fermò a pensare. Poteva infuriarsi con Harry per aver abusato della sua offerta di usare la suite oppure unirsi a lui in quella bricconata. “La prossima volta prendimi anche un paio di bottiglie di vodka Absolut, ma che sia l’ultimo giro che fai. Sono sicuro che tra non molto quelli del Willard avviseranno Henna. E prendi anche una bottiglia di Rémy Martin per Tiny, so che è rimasto senza.”

“Molto generoso da parte tua” disse Tiny acido. “Hai idea di che razza di disastro sarebbe per i miei affari se Harry potesse procurarsi da bere autonomamente?”

“Raddoppiagli il prezzo del ginger ale, continuerebbe a venire qui lo stesso” disse Mercer scherzando. “Paul, ho bisogno di un favore.”

Tiny colse al volo il tono serio di quell’ultima frase e rispose immediatamente. “Dimmi.”

“Ho bisogno di un passaggio in aeroporto e che tu tenga nascosta la mia auto per qualche giorno.”

“Cosa sta succedendo?” Nonostante la sbronza, anche Harry colse il tono serio di Mercer.

“Sono sulle tracce di quei bastardi che hanno assaltato la mia casa ieri sera.”

“Pensavo che se ne stesse occupando l’FBI.”

Mercer fulminò Harry con uno sguardo.

“Non ce la possono fare. Kerikov è tornato alla carica.”

Harry rimase impassibile mentre riceveva l’informazione, ma sentì uno spasmo di dolore alla gamba che non aveva più. Era stato per colpa del progetto sovietico chiamato ‘Operazione Vulcano’ che l’aveva persa ed era stato Kerikov a condurre l’operazione fino alla fine. Tiny non poteva capire cosa provavano Mercer e Harry, non aveva idea della forza malvagia che Kerikov rappresentava. Ma loro due lo sapevano anche troppo bene. In varie occasioni avevano parlato della possibilità che Kerikov ricomparisse, ed ora quel momento era arrivato. L’arto fantasma di Harry si contrasse di nuovo, lo sentiva come se ce l’avesse ancora. “Pensi che sia in cerca di vendetta?”

Mercer scosse la testa. “Ci sono in ballo troppe cose, ma se dovessi beccarmi una pallottola vagante, non credo che quel figlio di puttana si metterebbe a piangere.”

“Beh, non può certo essere una coincidenza” commentò Harry.

“No, ma potrebbe essere un destino.” L’ultima volta che aveva fatto i conti con Kerikov, gli Stati Uniti avevano rischiato di trovarsi in una guerra civile, e Mercer era terrorizzato all’idea di quello che sarebbe potuto succedere stavolta.

“Tiny, portalo all’aeroporto. Al bar ci penso io.” Normalmente, una frase del genere detta da Harry avrebbe suscitato una sfilza interminabile di battute, ma Tiny si slacciò il grembiule senza dire una parola e lo buttò sul bancone.

Prima di varcare la soglia per uscire dalla porta posteriore dietro alla minuta figura di Paul Gordon, Mercer si voltò verso Harry: “Se non dovessi tornare, promettimi di volare basso. Kerikov sa chi sei.”

“Se tu non dovessi tornare, potrei anche suicidarmi e risparmiare a Kerikov la fatica di farmi fuori.” Harry abbassò lo sguardo sul suo bicchiere per un istante e quando rialzò gli occhi, erano pieni di commozione. “Stai attento, Philip.”

Da quando si conoscevano era la prima volta che Harry lo chiamava per nome e quello aveva tutta l’aria di essere un addio. Mercer si fermò, guardò negli occhi il suo vecchio amico e gli fece un cenno di saluto quasi impercettibile.